Cuore della città e sua principale ragion d’essere, il Castello di Milazzo sorge in uno dei pochi luoghi del Mediterraneo ininterrottamente abitati dall’uomo da almeno cinquemila anni. La possente rocca naturale, da cui prese nome la città greca, aveva già visto fiorire la civiltà del neolitico, del bronzo e del ferro, e continuò ad essere fortezza di primaria importanza per il controllo della costa settentrionale della Sicilia e del suo mare sotto i Greci, i Romani e i Bizantini, anche se la natura rocciosa del suolo, il suo declivio ed il suo sconvolgimento per la costruzione delle cinte bastionate non hanno lasciato traccia alcuna delle fortificazioni erette prima della conquista araba.

Planimetria della città murata (foto d’archivio)

Rimangono soltanto alcune preziose testimonianza di vita quotidiana: rinvenute casualmente entro il perimetro murario del maniero, attestano la presenza dell’uomo già in età classica. È il caso, ad esempio, della moneta mamertina rinvenuta nel 2005 nell’area antistante il monastero delle benedettine e raffigurante il Dio Adranos (III sec. a. C.) o di quella, risalente ad un secolo prima e coniata dalla zecca di Siracusa, che raffigura un ippocampo al diritto e la testa di Atena al rovescio. Testimonianze di notevole valore storico che, unitamente ai numerosi conci a vernice nera raccolti dal piano di calpestio, rendono ormai indifferibile l’esecuzione di nuove campagne di scavi da parte della Sovrintendenza.

L’ippocampo nella moneta del IV sec. a. C. rinvenuta nella città murata.

Il Mastio, che sorge sul punto più alto dello sperone roccioso a strapiombo sul mare e chiude un’ampia ed ariosa corte, ha come suo nucleo più antico la torre detta “saracena” e come suo ambiente più pregevole l’elegante salone all’interno del quale si trova un possente camino. Iniziato forse sotto gli Arabi, ampliato dai Normanni, il Mastio assunse la sua struttura attuale (come rivelano le otto torri angolare e mediane) sotto Federico II di Svevia. Alcuni dei conci in pietra lavica che ornano le strutture murarie delle torri e del salone recano ancora oggi i marchi dei lapicidi, geometrici contrassegni che consentivano di riconoscere – e conseguentemente controllare e remunerare – il lavoro dei singoli maestri impegnati nel cantiere milazzese.

Il Mastio col suggestivo sfondo dell’Etna innevata (foto by Marco Milazzo)

Successivamente, sotto gli Aragonesi, il Mastio normanno-svevo venne protetto dal tiro delle armi da fuoco attraverso la costruzione, alla fine del Quattrocento, della cinta bastionata che lo racchiude (cosiddetta cinta aragonese o “barrera artillera”) coi suoi 5 torrioni semicilindrici. Infine, nel Cinquecento gli Spagnoli, per proteggere la città e la costa dai pirati barbareschi che avevano saccheggiato le Eolie e la Calabria e per avere un’imprendibile fortezza da cui controllare Messina, innalzarono la poderosa cinta muraria contraddistinta dalle numerose caditoie destinate alla difesa piombante.

La “barrera artillera” (cinta aragonese) costruita tra il 1496 ed il 1508 e progettata dall’ingegnere militare Baldiri Meteli. Recentemente è stata oggetto di studi da parte dell’arch. Alessandro Gaeta, che ha rinvenuto i documenti della sua costruzione all’Archivio di Stato di Palermo, curando inoltre eleganti simulazioni grafiche come quella raffigurata sopra assieme alla foto del portale d’ingresso e a qualche particolare interno ed esterno delle cannoniere munite di mirino a forma di croce e di fori entro cui scorrevano i perni dei portelloni lignei di chiusura della bocca delle stesse cannoniere, onde preservare le artiglierie da pioggia ed interperie.

Con la costruzione della cortina cinquecentesca (cosiddetta cinta spagnola) l’intero complesso fortificato assunse la fisionomia  di una vera e propria città murata, entro la quale erano ubicati i palazzi del potere, dalle sede municipale agli uffici giudiziari, cinque-sei edifici di culto, oltre alla chiesa madre innalzata alle soglie del Seicento, e le numerosissime abitazioni civili di coloro i quali dimoravano all’interno della stessa città murata. Un complesso di fabbricati pubblici e privati del quale oggi, se si eccettuano l’antico duomo e la secentesca badia benedettina, non rimangono altro che i perimetri murari di base, solo in parte affioranti in superficie.

Una suggestiva immagine della cinta spagnola (gentile concessione SiciliAntica Milazzo)

Imponente e suggestiva, la poderosa cinta spagnola, che comprende la cortina e i due bastioni ad essa affiancati (denominati rispettivamente «di Santa Maria» e «delle Isole»), è il risultato della progettazione di alcuni dei migliori ingegneri militari del tempo. Tra questi, il bergamasco Antonio Ferramolino, al quale si deve la realizzazione di uno dei luoghi più affascinanti e suggestivi dell’intera città murata: la galleria di contromina del bastione delle Isole, un lungo e tenebroso cunicolo, ricavato nel perimetro murario dello stesso bastione, che aveva lo scopo di prevenire gli attacchi delle mine nemiche, ossia dei tunnel sotterranei realizzati dagli assedianti al fine di raggiungere la base delle fortificazioni onde collocarvi potenti cariche esplosive capaci di distruggerle. Proprio per prevenire tali attacchi il Ferramolino consigliò la realizzazione di una galleria di contromina, dove l’assediato avrebbe pazientemente vigilato ascoltando l’eventuale approssimarsi dei colpi di piccone della costruenda mina nemica, che, non appena intercettata, sarebbe stata prontamente neutralizzata.

Questo complesso sistema di fortificazioni non venne mai espugnato: non ci riuscirono neppure gli Spagnoli, che l’avevano eretto, quando tentarono da qui di riconquistare la Sicilia perduta. E lo stesso Garibaldi fermò la sua avanzata vittoriosa sotto le mura del Castello, finché l’esercito borbonico, per il collasso dello Stato napoletano, non si arrese.

Il Duomo antico con il mare di levante sullo sfondo

Cominciò allora il declino della città murata: il Duomo antico, eretto a partire dal 1607 – è caratterizzato da forti membrature di sapore michelangiolesco, da una facciata recante meridiana, zodiaco ed una scultura in marmo raffigurante S. Maria col Bambino, nonché da eleganti geometrie in pietra da taglio di Siracusa tanto all’interno quanto all’esterno, oltre che da altari arricchiti da stupende tarsie marmoree – fu abbandonato al vandalismo ed al degrado (la graduale distruzione venne inaugurata dai garibaldini, prima, e dalle truppe del giovane Regno d’Italia, dopo) mentre il Mastio diventava un carcere, rimanendo tale sino al 1960.

È solo da qualche decennio che la città ha cominciato a riappropriarsi di quello che un tempo era il suo cuore pulsante. In questi anni, la realizzazione di un teatro all’aperto, i restauri dell’antico Duomo (di cui ancora oggi non si conosce il nominativo del progettista, mentre si conosce quello dell’architetto nonché capomastro palermitano – Giuseppe Gasdia – che ne ha diretto il cantiere dal 1615 circa) e quelli parziali di diversi ambienti delle cinte murarie hanno rappresentato indubbiamente alcuni decisivi passi in avanti in direzione del recupero di una delle fortificazioni più importanti della Sicilia.

ANTICHI REPERTI IN MOSTRA – Entro la Sacrestia dell’antico Duomo è possibile ammirare la mostra permanente allestita nel 2005 dalla Società Milazzese di Storia Patria (in collaborazione col Comune di Milazzo e la Sovrintendenza ai BB. CC. e AA. di Messina) sui reperti rinvenuti all’interno del complesso fortificato: ben 232 antiche monete, bottoni di divise militari, pipe e fischietti in terracotta, medagliette devozionali, pietre focaie ed antichi proiettili, ditali, e, tra l’altro, la riproduzione dell’orribile “gabbia di Milazzo” rinvenuta nel 1928 ed oggi custodita presso il Museo Criminologico di Roma.

Il Castello normanno-svevo-aragonese visto dal fortino dei Castriciani

IL FORTINO DEI CASTRICIANI E LO SCARABEO

Abbandonata la città murata si consiglia una passeggiata lungo le mura esterne dell’antico maniero. Costeggiando il bastione di S. Maria ci si immette nel vicoletto che consente di raggiungere il panoramico fortino dei Castriciani con annesso piazzale, la cui denominazione trae origine dagli abitanti di Castroreale preposti qualche secolo fa alla custodia di questa fortificazione avanzata. Il fortino, purtroppo in avanzato stato di degrado, è postazione panoramica privilegiata che consente di gustare la vista mozzafiato delle isole Eolie nonché dell’antico Duomo e delle diverse fortificazioni della città murata che si innalzano sull’altura rocciosa e selvaggia. Ma soprattutto si può ammirare la porzione iniziale della penisola milazzese, che si protende sinuosa tra i due mari di levante e di ponente. E’ consigliata la visita al fortino durante il tramonto.

Scendendo giù, in direzione sud, si giunge al piazzale dove sorgono le chiese dell’Immacolata e di S. Rocco, con altri punti panoramici, dai quali si osserva meglio la città bassa. Tornando indietro (percorso consigliato) si prosegue invece verso le vie Trincera e Papa Giovanni XXIII, ossia lungo la cinta spagnola della città murata, la cui cortina – collocata tra i possenti bastioni di S. Maria e delle Isole e caratterizzata dalle numerose caditoie destinate alla difesa piombante – è fronteggiata dal rivellino avanzato di S. Giovanni, costruito nel 1646 e collegato un tempo alla cortina cinquecentesca o spagnola da un ponte levatoio, accennato nel corso dei recenti lavori di restauro.

Superato il bastione delle Isole, un ampio piazzale panoramico consente infine di osservare il Tono, altro quartiere marinaro di Milazzo, sede un tempo dell’omonima tonnara, e soprattutto il misterioso “scarabeo”, realizzato lungo le mura di recinzione del Castello verisimilmente in età normanna. Si tratta di una sorta d’insetto costituito da conci parallelepipedi in pietra lavica, le cui ali pare abbiano avuto anticamente la funzione di quadranti solari. In tal senso una serie di studi approfonditi è stata recentemente condotta dallo studioso milazzese Carmelo Fulco, il quale sta provvedendo a rilevare sistematicamente e periodicamente le varie registrazioni astronomiche allo scopo di svelare quanto prima il mistero che si nasconde dietro questa suggestiva antica decorazione in pietra lavica, della quale già alle soglie del Settecento s’ignorava la funzione.

Lo scarabeo (denominato anche «gli occhi di Milazzo»). Da notare l’ombra riflessa dalla semisfera dell’occhio destro sull’ellisse rialzata rispetto all’intonaco. Era un quadrante solare

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Ultima modifica il: 21 Dicembre 2021